Fu dopo quella campagna che il governo islandese puntò sullo sport ed in particolare il calcio per combattere il dilagante alcolismo e tabagismo che imperversava tra le fasce giovani della popolazione: si puntò alla costruzione di vari campi da calcio, in particolare indoor per ovviare il problema del clima inclemente al di fuori dei periodi estivi, si incoraggiò la pratica tra i giovani e si attuò ed organizzò dei corsi di formazione per allenatori e dirigenti. Nel secondo dopoguerra, in un momento di particolare fervore si avviarono i lavori per la realizzazione dell’impianto petrolchimico dell’Eni auspicato da Enrico Mattei. Lo stesso argomento in dettaglio: Polo petrolchimico di Gela e Greenstream. Le numerose scoperte archeologiche, tra le quali quella delle fortificazioni greche di Capo Soprano avvenuta nel 1948 e quella dei giacimenti petroliferi, a partire dal 1956, con la successiva costruzione del polo petrolchimico ENI, misero la città in una fase di espansione economica e demografica non scevra da gravi problemi ambientali. Bloccata (ma non cancellata) la piaga dell’abusivismo con una maggiore attenzione delle autorità competenti, ed alcune zone rivalorizzate, come il centro storico, gli scavi archeologici, il Castelluccio ed il lungomare.
Presso il lungomare cittadino, tra il 1958 e il 1959 venne costruito uno stabilimento balneare, che fu opera di un importante sviluppo turistico della città. La situazione fu poco gradita ad Artale Alagona, in guerra con i Chiaramonte, i quali cinsero d’assedio la città che nonostante la sua strenua difesa finì per capitolare. In contrada Ponte Olivo sorse il cimitero di guerra di Ponte Olivo, ove furono sepolti i caduti della cruenta battaglia di Gela, poi traslati. All’epoca dell’Emirato di Sicilia (948-1091), i musulmani la indicavano come «Città delle colonne», a causa dell’enorme numero di vestigia classiche che si trovavano nel suo territorio, designando il fiume che le scorreva a lato, il Gela, «fiume delle colonne». Subito dopo l’Unità d’Italia, la città assunse il nome di Terranova «di Sicilia», per distinguersi dalle tante altre con lo stesso nome esistenti sulla penisola, partecipando, verso la fine del secolo, ai moti organizzati dal Movimento dei Fasci Siciliani (1893). Nei primi anni del XX secolo vi abitò giovanissimo Salvatore Quasimodo, al seguito del padre, ferroviere. Le sue coste furono teatro, durante la seconda guerra mondiale, nel luglio del 1943, dello sbarco in Sicilia della 7ª Armata americana. Infine, per quanto riguarda la corona, in origine molto semplice rispetto all’attuale, è probabile che essa si riferisca a quella ducale e che sia apparsa a corredo dello stemma durante la dinastia dei Pignatelli Aragona Cortes, duchi di Terranova e Monteleone.
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Al termine della Seconda guerra mondiale, Orazio Siino perse l’organizzazione del campionato siciliano, poiché la FIGC si ripresentò con una formula nuova: Serie A e campionato misto B/C al Nord, campionato misto A/B e Serie C al Sud. L’ultima volta c’ero stato l’anno prima della guerra, e m’ero detto già allora: «Se almeno morissi quassú», perché, a immaginarla in anticipo, la guerra è un riposo, una pace. Nel febbraio 2025, durante dei lavori infrastrutturali in via Garibaldi, è stato riportato alla luce un complesso funerario risalente alla prima metà del sesto secolo avanti Cristo. L’aquila e le colonne doriche nel corso degli ultimi duecento anni hanno subito variazioni significative rispetto ai disegni originali: il rapace e le colonne erano più slanciati e più esili rispetto a quelli attuali che compaiono sul labaro del Comune; intorno al 1910 addirittura i capitelli delle due colonne subirono un cambiamento di stile, dal dorico al composito ionico-corinzio; durante il Ventennio, sullo stemma fu apposto, così come avvenne in tutta Italia, il simbolo del fascio littorio.
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